Abuso di mezzi di correzione o di disciplina, quando l’insegnante è colpevole?

Fino a poco prima della chiusura delle scuole per l’emergenza sanitaria, troppo spesso le cronache hanno portato alla luce, casi di maltrattamenti subiti da bambini che frequentano l’asilo nido o la scuola dell’infanzia. Nella maggior parte dei processi, l’insegnante denunciato si è difeso, adducendo come giustificazione il comportamento eccessivo del piccolo, che quindi doveva essere “ripreso” come misura educativa.
Il nostro ordinamento è chiaro a riguardo, per il codice penale «chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente».

Ma cosa si intende per abuso dei mezzi di correzione e disciplina? Fino a che punto si può parlare di metodo educativo e quando invece, si va oltre il consentito?

La Cassazione per ciò che riguarda gli insegnanti non ha dubbi: non è mai ammesso un comportamento posto in essere dall’educatore che:
“umili, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno, causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità”.

In una recente sentenza, la Cassazione ha ribadito che per malattia nel corpo o nella mente deve essere compresa ogni conseguenza rilevante sulla psiche del bambino, compresi derivati stati di ansia, insonnia, disturbi comportamentali e caratteriali, depressione etc. e che l’insegnante che ricorra a qualunque forma di violenza, fisica o morale, per scopi “educativi” commette reati ai sensi dell’art. 571 del codice penale.

L’evento violento non deve inoltre,necessariamente essere abituale perché sia considerato reato, anche un evento isolato e non sistematico, si configura reato di maltrattamenti.

Esistono inoltre aggravanti nel caso in cui, l’abuso dei mezzi di correzione causi anche involontariamente lesioni permanenti o morte. A seguito degli accertamenti, la gravità del reato e della pena sarà conseguente alla definizione di lesioni involontarie, volontarie, colpose o di omicidio.

La pena base, salvo aggravanti, è il carcere da 2 a sei mesi, se dal fatto, ne deriva una lesione personale grave è prevista la reclusione da quattro a nove anni.

Naturalmente il reato di abuso di mezzi di disciplina non è applicabile alla sola categoria degli insegnanti, ma vale anche per il genitore, va però distinto quale reato di maltrattamenti in famiglia, che ricade in un’altra fattispecie, disciplinata all’art. 572 c.p.

In passato, lo “ius corrigendi”, cioè “l’uso della forza come propedeutico all’educazione” era consentito e se pur con una lentissima evoluzione, nel 1956 il diritto dell’uomo di “educare e correggere”, anche con l’uso della forza, la moglie e i figli venne abolito. Ad oggi l’abuso si intende anche quando oltre alle percosse, si utilizzano mezzi come minacce e ingiurie verbali, che se posti in essere, fanno configurare i relativi reati.