Il nostro ordinamento disciplina il danno che viene causato intenzionalmente al patrimonio di una società per interessi personali da parte del socio amministratore. Tra le vittime del danno, in condizioni di procedibilità, anche un singolo socio di minoranza ha diritto di querela.
L’articolo 2634 del Codice Civile stabilisce infatti che, gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori con un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o altro vantaggio ingiusto, se compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, debbano essere puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Pena che si applica anche se il danno viene commesso in relazione a beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi, provocando ai terzi un danno patrimoniale.
Un esempio è la vendita della società ad un prezzo non congruo ad un’altra società di cui l’amministratore della società alienata, è socio e trae vantaggio dalla compravendita.
La norma tutela il patrimonio sociale dalla cattiva condotta degli amministratori, e per patrimonio non si intende solo il conto economico, ma il complesso di beni mobili e immobili, materiali ed immateriali, come anche i diritti su marchi e brevetti.
Spesso le società sono parte di un gruppo, e in questi casi, la norma opera in una logica di compensazione: se al maggior profitto del gruppo o di una società collegata, corrisponde in ogni caso un vantaggio anche per la società oggetto della tutela, non si può trattare di profitto ingiusto.